Il 23 settembre inizia la 2° stagione della serie tv “House of Cards”. Il deputato Frank Underwood (Kevin Spacey) è uno squalo della politica che mira alla Casa Bianca, forte dell’appoggio della moglie Claire (Robin Wright) e del braccio destro Doug Stamper (Michael Kelly). Washington fa da sfondo a sotterfugi, alleanze segrete, camaleontismi e un’aspra competizione fra i big della politica.
Il finale della 1° stagione ci ha lasciati con il fiato sospeso: un Frank Underwood raggiante ha finalmente ottenuto la nomina a vicepresidente degli Stati Uniti, mentre una Claire incerta e triste sogna la maternità. La tragica fine di Peter Russo, in cui Frank è coinvolto, continua a dare problemi al nostro: non solo comincia a sentire strane voci, ma qualcuno sta indagando nell’ombra di uno spoglio monolocale. E’ la giovane giornalista Zoe Barnes (Kate Mara), prima alleata ma ormai fuori controllo, assieme ai colleghi Lucas e Janine (interpretati da Sebastian Arcelus e Constance Zimmer). I tre sanno più di quanto converrebbe loro: sono già arrivati alla fidanzata di Russo, Christina Gallagher (Kristen Connolly), e alla prostituta con cui trascorse l’ultima notte. Questi fili rossi restano in sospeso per i nuovi episodi, ma l’inquadratura finale ci rassicura: il cellulare di Frank squilla a vuoto, e questo significa che i giochi di potere non sono finiti.
“House of Cards” nasce dall’omonimo romanzo di Michael Dobbs, ex capo di stato maggiore britannico. Nel marzo 2011 il sito Deadline.com annuncia che “Kevin Spacey sarà protagonista ed executive producer” – vale a dire supervisore del prodotto e mediatore fra produzione e autori- mentre David Fincher avrebbe diretto l’episodio pilota della serie. La sceneggiatura sarebbe andata al drammaturgo Beau Willimon. La serie va in onda in Italia dal 9 aprile 2014 (rete SkyAtlantic), preceduta dagli Stati Uniti nel febbraio 2013 (rete Netflix), dove tuttora è in corso ed è stata annunciata la terza serie.
Se avete detto basta alle fiction di intrighi e trame complicatissime, magari dopo aver visto “Lost”, questa serie è diversa: plot articolato ma godibile, in cui ogni azione produce le sue conseguenze – se non nello stesso episodio magari in quello successivo (e i fucili inquadrati alla fine spareranno). Per lo spettatore è divertente seguire il ragionamento di Frank Underwood nel muovere questa o quella pedina dello scacchiere politico, che si traduce nell’habitat ideale in cui un “mostro” come lui può proliferare.
Il risultato finale è un melodramma con dialoghi curatissimi e sceneggiatura accattivante, a cui si aggiungono musiche incalzanti e ritmo serrato soprattutto nei primi episodi.
Frank Underwood è ossessionato dal potere: resta chiuso nel guscio finché non sfrutta l’occasione giusta, poi abbatte gli avversari con una scure di manipolazione e dissimulazione; è un tipo carismatico dalla risposta immediata, sa cosa fare e sa risolvere le situazioni più spinose. Impossibile non provarne repulsione ma anche fascino. Fortunatamente è reso più umano dagli “a parte”, gustoso espediente con cui Underwood si rivolge direttamente allo spettatore. Lo guarda dritto negli occhi, abbassa la voce e chiarisce le proprie intenzioni. Le battute hanno il tenore di “La sofferenza è inutile se non fa crescere”, “Caccia o vieni cacciato” e “Odio i bambini…ok, l’ho detto”. I personaggi tradiscono, usano, ricattano, spesso in cambio di favori sessuali (“tutto il mondo ha a che fare col sesso, tranne che il sesso”). Esso ha a che fare col potere”), si destreggiano fra “gli intrighi del potere”, come recita il sottotitolo; fra lobbysti, voti di scambio e conteggio dei senatori. Proprio la bandiera americana capovolta, nei titoli di apertura, allude al retroscena della politica.
Ecco la domanda che ci siamo fatti tutti: sarà vero? Ossia: succede veramente questo nella politica, almeno in quella americana? Sicuramente è divertente pensare che sia così. Ma la rappresentazione che questa serie dà della realtà è tutt’altro che benevola. Ne scaturisce l’idea americana di libertà: proprietà di se stessi, massimo sviluppo delle proprie potenzialità, indipendenza economica, ma anche individualismo, resistenza alle coercizioni esterne, piena libertà di movimento. E’ l’elbow room, lo spazio per i gomiti, bellezza. E i personaggi sono disposti ad ottenerlo con la violenza.
In tempi di rapidi cambiamenti anche la finzione deve adattarsi, e “House of cards” ci racconta una realtà mutevole. Per esempio, usando Zoe Barnes. La giovane giornalista preferisce abbandonare l’imponente Washington Herald, rifiutando il posto da corrispondente alla Casa Bianca “perché è lì che vanno a morire le notizie”, ed entrare in un giornale online. Il processo editoriale è più snello e gli articoli possono essere scritti con lo smartphone. Usa Twitter, i blog e i social network che il precedente editore considerava “mode passeggere”.
Forse pensava così Barak Obama, quando alla vigilia della seconda stagione ha inviato il tweet: “Tomorrow: @HouseOfCards”. No Spoilers, please.”?
scritto da Alice Palombarani, martedì 23 settembre 2014
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