BIRDMAN: dove non arriva la televisione

Mentre lo guardavo mi sono dimenticata di respirare. Il film “Birdman (o l’Imprevedibile Virtù dell’ Ignoranza)”, fra quelli usciti da poco nelle sale italiane, è sicuramente il più magnetico. Ma vado con ordine. Diretto da Inarritu e interpretato da attori del calibro di Michael Keaton, Zach Galifianakis, Emma Stone e Edward Norton, ha ricevuto nove nomination agli Oscar 2015 (vincendo quello per miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior fotografia).

Il protagonista è Riggan (Michael Keaton), famosissimo attore noto per aver interpretato il ruolo del supereroe Birdman, sfornando un sequel dopo l’altro. Ma la sua fama è in declino. Per tornare in auge decide di riadattare, produrre e recitare una commedia di Raymond Carver nientemeno che in un teatro di Broadway. Ma deve fare i conti con i fantasmi del passato…

Di recente ho seguito l’intervista di un giovane attore, Silvio Muccino, in cui questi lamentava il senso di straniamento che è comune negli attori e il rapporto conflittuale fra l’ego (quello della persona) e l’alter (quello del personaggio). Qual è la vera identità? Dubito che il regista Inarritu abbia subìto la stessa intervista, ma il punto chiave è che il suo intento è analogo, anche se dall’altra parte del mondo; più artistico, in stile hollywoodiano, ma non meno psicologico.

Il montaggio è strepitoso e i lunghi piani sequenza inseguono i personaggi per carpire ogni emozione; la cinepresa è agile e mobile, guidata da un operatore che vuole capir meglio cosa accade. Il protagonista è inseguito dal proprio demone e risucchiato nel “backstage”, la confusione fra amore e ammirazione lo porta a dormire come un barbone fuori dal teatro “prima della prima”, vita privata e pubblica si mescolano. Le idee che scoppiano nella mente di Riggan sono portate a galla dalla colonna sonora composta da Antonio Sanchez, interamente Drum solo, provocando un effetto ansiogeno e magnetico (come suggeriscono i titoli dei brani “The anxious battle for sanity” e “Doors and distance”). Calma, respira. Sarà che la frenesia mi ricorda quella di “Fight club”. Mi protendo dalla poltrona e mi aggrappo ai braccioli.

“Birdman” non dà alcuna risposta, anzi ci getta nella zona grigia dove le quinte sfociano sul palcoscenico, e viceversa, fino a non distinguere quale è la realtà e quale la finzione. Anche Riggan capisce senza troppe perifrasi che il suo campo d’azione è limitato. E deve scegliere. Il film si trasforma in un thriller psicologico e riserva un finale aperto a tinte noir, ma non tutto è perduto. Sarà davvero così dietro le quinte delle produzioni artistiche? Questo aspetto è paradossalmente veritiero. Gli attori sono marionette capricciose e inutili, dedite alla ricostruzione della falsità solo per la celebrità, oppure riescono davvero a sintetizzare le proprie emozioni sul palco, suscitando un effetto catartico (in loro e nello spettatore)? Mass media e social newtwork ci restituiscono la verità? Mentre il protagonista sembra rincorrere la propria, Pirandello le farebbe dire “Io sono colei che mi si crede”.

 

Articolo di: Alice Palombarani

Scritto il: 21.03.2015

pubblicato su www.trevolution.altervista.org il: 07.04.2015

pubblicato su www.occhiapertiblog.wordpress.com il: 30.05.2015

 

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