“Thelma & Louise” perchè vederlo a vent’anni ha un altro sapore

RECENSIONI IMPOSSIBILI

Ho provato sempre curiosità per i titoli formati da un nome di persona. Questo ne ha ben due uniti dalla &, ma questo non basta per desiderare di vederlo.

Negli anni passati, prima che riuscissi a impossessarmi del film, mi ero costruita fra me e me un’immagine di “Thelma e Louise” come una pellicola su due tipe toste e piratesse, che avrebbero potuto essere cugine di Jack Kerouac. Quando chiedevo informazioni a mia madre, mi rispondeva che dovevo vederlo anche io, ma che non si ricordava bene. Iniziai così a cercare qualche notizia su internet, soprattutto i fotogrammi e le locandine presenti su Google immagini. Quando avevo la tessera del videonoleggio sotto casa (che ha chiuso i battenti dopo l’avvento dello streaming; ciò significa che ho perso i 20 euro nella tessera; eppure qualcuno sopravvive strenuamente e riesco a contarne almeno tre nelle zone di Roma che frequento di più), insomma quando tempo fa andavo al videonoleggio sotto casa, inserivo la ricaricabile nella fessura, scorrevo i titoli febbrilmente ma non lo incontravo mai. Riprovavo anche più volte durante la settimana. Alla fine realizzai che, trattandosi di un film del 1991, sarebbe stato strano se il gestore lo avesse inserito allora nel catalogo. Cosicché mi rassegnai fino a dimenticarmene.

Qualche giorno fa mi trovavo nella biblioteca di quartiere; percorrendo un corridoio passai davanti alla sezione “Film”. Ricevetti l’illuminazione. Non avevo mai pensato di affittarne uno in biblioteca! (non scarico dal pc). E allora mi balenò nella mente quel titolo sopito, ricordo di anni mitizzati e di pomeriggi interminabili. Fu un attimo; ansiosa di trovarlo, annaspai fra le custodie impilate: temevo di uscirne con un pugno di mosche, quando…

tel…Uscii dalla biblioteca con la mia copia di “Thelma & Louise” nella borsa. Non ci credevo, e ogni tanto aprivo la borsa per accertarmi che fosse ancora lì. A casa infilai il dvd nel lettore, e subito dopo mi resi conto che il film era in originale, pur avendo una custodia italiana. Non restava che selezionare i sottotitoli in inglese (non pensai neanche per un istante di riportarlo indietro).

Piccola digressione: a me i film piace vederli più volte. La prima assolutamente doppiati (pur avendo una buona conoscenza dell’inglese, sono troppo pigra e me li voglio godere senza sforzo); sono rare le occasioni in cui metto i sottotitoli, càpita per esempio quando studio per un test di lingua. Ho visto un film in originale al cinema in poche occasioni: 1) quando hanno dato “Hannah Arendt” al cinema Farnese ed era l’unico giorno di programmazione, 2) quando una ragazza con cui volevo far amicizia mi propose di vedere “Boyhood” in un cinema d’essai a Trastevere, di quelli che leggi le recensioni su “Internazionale” ma poi non vedrai mai nella vita, 3) quando arrivò un’amica da fuori Roma e la portai al Cinema America, e gliene avevo parlato così tanto e lei era così curiosa che ci fermammo a vedere “Harry Potter e doni della morte” v.o.

“Thelma & Louise” è durato due ore e quattro minuti. Siamo negli Stati Uniti, nella provincia. Due amiche (Susan Sarandon e Geena Davis), per evadere il tran-tran quotidiano, decidono di godersi un gita all’insaputa dei mariti. Una serata in un locale country western che finisce male, e le due che fuggono. Strade polverose e stazioni di servizio in mezzo al nulla. La Ford Thunderbird che sfreccia lungo il Grand Canyon. Un bell’autostoppista (Brad Pitt). Pistole, cappelli da cowboy e rapine. E un ispettore “insolito” alle calcagna (Harvey Keitel).tel 2

Penso che sia un film sulla libertà. Man mano che viaggiano le due donne gettano via trucchi e rossetti, vestono jeans e t-shirt bianche alla James Dean.

“Thelma & Louise” ha tante caratteristiche originali. Nella loro ricerca forsennata della libertà e dell’emancipazione (che poi libertà americana e libertà italiana sono cose diverse, così come la propria idea di libertà e quella degli altri) ho sentito le protagoniste vicine e portatrici di un messaggio universale (non occorre ricorrere ai termini maschilismo e femminismo, di cui invece ha parlato la critica). Quando si cerca qualcosa all’esterno con rabbia, qualcosa che in realtà è unicamente dentro se stesse, e che si sintetizza solo comprendendo e cambiando il proprio punto di vista, per costruire e rafforzare la propria identità. Eppure è davvero necessario raggiungere il punto di non ritorno? La ricerca può assumere toni così disperati da diventare autodistruttiva? 

In generale, nei film non ho mai trovato una trama che raccontasse una storia femminile. Al cinema e in televisione le storia sono raccontate dal punto di vista maschile: le donne compaiono soprattutto come madri o prostitute, come causa di traviamento dell’uomo, come elemento di separazione fra due amici, come ostacolo che impedisce l’azione. Al contrario, le sceneggiature offrono agli spettatori un’infinità di personaggi maschili con cui potersi identificare o discordare. Il primo prodotto che, nella mia esperienza, ha offerto una buona alternativa è stato “House of Cards”. Beati noi che proponiamo al massimo “Don Matteo 10”.

Louise e Thelma sono amiche, litigano (per un uomo, anche se per motivi diversi) ma rimangono legate, decidono di “fare il botto” assieme, stringendosi la mano per darsi coraggio. Finalmente una storia di complicità. Diretto da Ridley Scott. Scena finale Indimenticabile.

Ps. Nel film compare un Brad Pitt trentenne, all’epoca quasi sconosciuto, tanto che nei titoli promozionali il suo nome non compariva neanche.

Articolo di: Alice Palombarani

Scritto e pubblicato il: 21.07.2015

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