L’isolamento sociale imposto dall’emergenza sanitaria ci fa riflettere sul nostro rapporto con l’assenza.
Ora i nostri vicini, i signori Bauer, avevano due figlie, una di quattro e l’altra di sette anni, oltre a un figlio dodicenne. Non li conoscevo bene – erano tutti troppo giovani per me – ma ero spesso rimasto ad osservarli […]. Una sera, mentre i genitori erano usciti e la cameriera era andata a fare una commissione, dalla casa di legno si levarono le fiamme e l’incendio divampò con tale rapidità che, all’arrivo dei pompieri, i bambini erano già morti bruciati […]. Ne rimasi sconvolto, come mai prima di allora.
Avevo sentito parlare di terremoti nei quali erano state inghiottite migliaia di persone, di fiumi di lava incandescenti che avevano travolto interi villaggi, di onde gigantesche che avevano spazzato via le isole […]. Ma non erano che astrazioni, numeri privi di significato, dati statistici, notizie. Non si può soffrire per un milione di morti.
Quei tre bambini, invece, li avevo conosciuti, li avevo visti con i miei occhi e questo cambiava radicalmente le cose […].
Fred Uhlman, “L’amico ritrovato”
Mi è venuto in mente questo passo, scritto nel 1971 e ambientato nella Germania del 1932, che sono andata subito a rileggere. Come si può soffrire per i 18.000 deceduti del virus? Non bastano servizi giornalistici, fotografie e racconti: questi fanno avvertire un dispiacere che è di natura intellettiva.
Invece penso alla diversità del quotidiano, delle cose e delle persone che conosco. Fortunatamente sono stata solo sfiorata da questo stato delle cose che non ha procurato perdite all’interno delle mie conoscenze. Ma poi penso alle situazioni che conosco per esperienza personale: il festival di giornalismo di Perugia che avrebbe dovuto tenersi adesso e che invece è stato rimandato; alla Pasqua che, pur festeggiata in modo laico, concede un momento di condivisione con i cari; al cornetto e cappuccino che, sonnolenti o concentrati a seconda del momento, rinfrescano le giornate.
Ed è attraverso queste esperienze dirette – momentaneamente assenti – che ci si sente parte di un sentimento collettivo fatto dell’unione di tante piccole umanità.
Alice Palombarani
Scritto e pubblicato il: 11.04.2020
Social Profiles