Elezioni presidenziali statunitensi: Hillary Clinton o Donald Trump? Solo 100 giorni ci separano dal voto, indetto l’8 novembre 2016. Chi sono veramente Hillary e The Donald, e quali interessi hanno alle spalle? Ci sarà una rottura o una continuità fra Obama e Clinton? Questo e altro nella mia intervista al Prof. Daniele Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti d’America. Continua a seguire Occhiaperti Blog grazie all’app gratuita anche sotto l’ombrellone, e leggi le tante imperdibili interviste!
Hillary Clinton o Donald Trump? Solo 100 giorni ci separano dalle elezioni presidenziali statunitensi, indette l’8 novembre 2016. Chi sono veramente Clinton e Trump, e quali interessi hanno alle spalle? Ci sarà una rottura o una continuità fra Obama e Clinton? Questo e altro nella mia intervista al Prof. Daniele Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti d’America.
Le elezioni presidenziali statunitensi ci stanno lasciando con il fiato sospeso. Fra endorsement, ciuffi biondi e conventions, Clinton e Trump hanno ingaggiato una vera e propria battaglia – è il caso di dirlo – senza esclusione di colpi.
Se anche tu sei curioso di fare un viaggio dentro le elezioni presidenziali 2016, continua a leggere per scoprire cosa sta accadendo al di là dell’Atlantico.
Chi sono veramente Clinton e Trump, e quali interessi hanno alle spalle? Ci sarà una rottura o una continuità fra Obama e Clinton? Cosa pensare delle strizzatine d’occhio che Trump lancia al Presidente turco Erdogan? L’ho chiesto al Prof. Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti d’America, Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. Vediamo cosa ha da dirci.
D: Buongiorno Prof. Fiorentino e grazie per aver accettato l’intervista. Pochi giorni fa Cleveland ha affidato a Trump la leadership repubblicana, e adesso The Donald corre ufficialmente per la Casa Bianca. Nel giorno di apertura della convention democratica a Philadelphia, la Cnn/Orc rivela il sorpasso di Donald Trump sull’avversaria Hillary Clinton per 48% a 45%. A quale tipologia di elettorato si rivolge il candidato dal ciuffo biondo?
Buongiorno, grazie a voi per l’invito. Quanto abbiamo visto in questi mesi di primarie è abbastanza significativo del clima che attraversa gli Stati Uniti: grande insoddisfazione e un diffuso senso di precarietà. Gli americani hanno la netta sensazione che “il sogno americano” stia svanendo. C’è una numerosa componente di piccola classe media, soprattutto nei tanti piccoli centri urbani e nelle campagne, quell’America che raramente finisce nei media se non per qualche inspiegabile sparatoria spesso indotta dal malessere e dalla disperazione, che a fine secolo scorso sembrava aver raggiunto una posizione economica e sociale accettabile e che ora si ritrova spogliata di tutto senza più futuro e prospettive. Clinton, come abbiamo sentito nel suo discorso di Philadelphia, vorrebbe restituire quella speranza agli americani, Trump gioca invece sul senso di rabbia e frustrazione. I sondaggi parlano di sorpasso ma dubito che questo sia effettivo. C’è ancora da giocare lo scontro diretto e su questo piano Clinton può di certo recuperare punti.
D: Perché si dice che Trump è un outsider all’interno delle elezioni presidenziali? Quali sono i differenti interessi che gravitano attorno a Trump e Clinton?
Trump (qui si può vedere il suo sito ufficiale) è un outsider della politica, non conosce i complessi meccanismi di Washington, si è dato l’immagine del grande imprenditore di successo a volte imbrigliato da interessi politici che non gli permettono di sviluppare tutto il suo potenziale. In realtà Trump, pur essendo un ricco imprenditore, non ha avuto il successo che reclama, anzi ha fatto più di una bancarotta e si è dovuto appoggiare ad altri grandi interessi economici, e non solo americani, per venirne fuori. Clinton è invece la classica rappresentante della grande politica nazionale sostenuta da quei gruppi di interesse che sanno giocare con le lobbies e la pressione sul Congresso. Per questo Sanders ha avuto gioco facile nell’accusarla di avere troppe commistioni con Wall Street. Indiscutibilmente negli Stati Uniti i potentati economici giocano un ruolo importante anche nella campagna elettorale per le presidenziali, basti pensare ai costi che essa comporta. Ricordiamo però che il Presidente alla fine non ha tutto quel potere che Trump sogna di avere dopo le elezioni presidenziali, il sistema americano ha un insieme di meccanismi (garantiti dalla Costituzione) che hanno tenuto in equilibrio i tanti potentati del paese per più di due secoli.
D: A Philadelphia, Hillary Clinton ha dovuto ricompattare le fila e convincere i supporters di Sanders. L’endorsement di Obama è ufficiale e il Presidente in carica ha dichiarato di essere pronto a passarle il testimone. Secondo lei, Clinton è abbastanza indipendente da Obama, in particolare in politica estera?
Sembra proprio che Hillary (di cui questo è il sito ufficiale) a Philadelphia sia riuscita a ricompattare le diverse anime del partito anche se ha faticato un po’ con i sandersiani e molti di loro non la voteranno comunque. Molto del successo ottenuto alla convention Clinton lo deve a Obama e al suo incondizionato sostegno. Coloro che hanno votato Sanders alle primarie già rimpiangono Obama anche se non ha del tutto soddisfatto le loro aspettative, soprattutto in politica interna. Sulla politica estera Clinton è in linea con Obama, ma ne rappresenta il versante più incisivo e se vogliamo aggressivo. Non direi che Hillary Clinton è indipendente rispetto alla politica dell’attuale amministrazione: piuttosto, è una versione più da guerra fredda, più determinata con gli alleati e oppositiva con i nemici. La questione dei rapporti con la Russia di Putin sarà un bel terreno di prova nei mesi che ci separano dal voto di novembre. Ovviamente l’altro è il terrorismo internazionale e su questo Trump sembra avere gioco più facile. L’accusa di molti americani alla presidenza Obama è di non essere stato sufficientemente duro con le minacce che incombono sul paese. Per questo i muri di Trump trovano tanto consenso. Ma alla convention Hillary ha detto qualcosa che potrebbe avere una ricaduta positiva per la sua campagna: che vuole costruire ponti invece che muri e questi ponti non si riferiscono soltanto al miglioramento delle relazioni con i paesi alleati e all’avvio di nuove trattative, ma anche alle relazioni interetniche nel paese che sembrano arrivate a un nuovo drammatico apice. Dal punto di vista della politica estera basti pensare a quanto ha detto Trump sulla NATO, Clinton come dicevo porta ancora una strategia da guerra fredda che fa della NATO un punto di forza importante. E’ necessario però che il tutto venga ripensato perché la guerra fredda è stata consegnata alla storia e i suoi meccanismi non funzionano più in questo nuovo secolo di multipolarismo. Gli Stati Uniti continueranno a giocare un ruolo determinante a livello internazionale ancora per un certo tempo ma devono entrare nell’ordine di idee che questo è possibile solo mantenendo aperto il dialogo e la collaborazione con altri paesi. Da questo punto di vista le proposte che Trump ha effettuato durante la campagna per le elezioni presidenziali sembrano destinate a essere respinte da molti.
D: Si può dire che nel 2013 Obama sia stato favorito dal “fattore etnico”. Rispetto ad esso, il “fattore genere” di Clinton è ugualmente mobilitante?
Paradossalmente Obama lascia una situazione destabilizzata a causa di una crisi indotta non dalla sua amministrazione ma da una situazione economica e sociale già critica a cui indiscutibilmente il presidente non ha saputo rispondere su tutti i fronti. Nel 2012 Obama era stato favorito in certa misura dal fattore etnico ma anche dai risultati che aveva ottenuto nel suo primo mandato, sebbene non nelle proporzioni auspicate. Il fattore di genere giocherà un ruolo, ma minore rispetto a quello che avrebbe potuto avere anni fa. Molte delle giovani donne americane hanno un approccio completamente diverso al loro status rispetto alle madri e alle nonne che avevano combattuto la battaglia del femminismo negli anni sessanta e settanta. E questo lo devono anche all’amministrazione Obama che ha molto insistito sui diritti delle donne e sulla parità di trattamento, ad esempio nei posti di lavoro.
D: Con Trump ritorna il motivo isolazionista “L’America agli americani”, ma il candidato strizza l’occhio a Putin ed Erdogan e nel frattempo torna a dar morsi alla Nato. Secondo lei, quanto sarebbe verosimile una Nato senza Stati Uniti? E’ un’ipotesi realistica oppure Trump sta solo gonfiando il petto?
Come dicevo Trump cerca di uscire dai canoni della politica professionale spingendosi a volte su terreni impervi, come nel caso della sua affermazione sulla NATO. Direi che una NATO senza Stati Uniti non è più la NATO. L’alleanza nasce ovviamente per obiettivi completamente diversi da quelli che ha oggi ma ha mantenuto nel tempo un significato strategico importante proprio per la politica internazionale americana di oggi. Le parole che Trump ha usato per Putin e Erdogan vorrebbero dare la misura di un possibile disimpegno degli Stati Uniti a livello internazionale, di un ritorno a un realismo che poggia anche su regimi autoritari pur di promuovere i propri obiettivi a livello globale. Alla fine, come è già successo in passato, anche Trump dovrà fare i conti con la realtà; ha capito però che certi appelli e dichiarazioni esagerate portano voti e consensi. Quello dell’isolazionismo americano è un mito che gli stessi americani si sono giocati nel corso dei decenni ma che non è mai stato del tutto reale. Noi europei lo abbiamo spesso percepito come tale perché in diversi periodi della storia gli Stati Uniti lo hanno usato per tenersi lontani dall’Europa e non farsi coinvolgere nelle guerre e diatribe interne al vecchio continente. Gli Stati Uniti non sono mai stati veramente isolazionisti anche se spesso hanno insistito sul loro ruolo emisferico.
D: Quali eventi elettorali sono in programma nel prossimo futuro? A cosa dovremo prestare attenzione?
Di certo dovremo seguire la campagna che ora vede i due candidati dei partiti maggiori giocarsi la partita dell’8 novembre. Se saltasse fuori un candidato indipendente sarebbe interessante da osservare, nel corso delle elezioni presidenziali, ma credo siano ormai rimasti pochissimi spazi per questa eventualità. Trump ha occupato molto di quel settore di protesta contro l’establishment che di solito porta voti agli indipendenti. Tuttavia, bisognerà vedere come si muove il Partito repubblicano evidentemente a disagio con un candidato che non appartiene all’apparato. Questo va detto chiaramente, molto del risultato elettorale dipenderà da due fattori: il primo è come si muoverà Clinton. Se dovesse commettere altri errori non farebbe che portare acqua al mulino di Trump. Il secondo è la posizione del GOP, evidentemente spaccato dalla candidatura del tycoon newyorkese. Credo che Trump abbia già pescato buona parte dei voti che si può assicurare. Nei cento giorni che ci separano dalle nazionali la campagna si giocherà sui cosiddetti “battleground states”, quegli stati importanti per i loro numeri e le loro posizioni mutevoli, alcuni detti infatti anche “swing states”. Quelli cioè che storicamente sono stati determinanti e hanno cambiato partito di volta in volta cambiando anche le sorti del voto. Al momento Clinton è rimasta infatti in Pennsylvania mentre Trump è volato in Colorado, e poi bisognerà tener d’occhio Ohio, Virginia e Florida. Credo che molto del risultato finale si giocherà in questi stati, come si sa il voto popolare conta ma fino a un certo punto. Il sistema elettorale americano richiede che si ottenga la maggioranza dei voti elettorali per stato.
Articolo di: Alice Palombarani
Scritto e pubblicato il: 01.08.2016
su: www.occhiapertiblog.wordpress.com
e: trevolution.altervista.org
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