Il “Joker” toglie la maschera; a noi.

Il film “Joker” di Todd Phillips (2019) vede Joaquin Phoenix nei panni del protagonista e narra del fragile Arthur Fleck che, costantemente umiliato, decide di vendicarsi e trasformarsi nel Joker. La pellicola mostra delle proteste cittadine che sembrano richiamare le manifestazioni in Cile e a Hong Kong. Vediamo perché.

«A loro non importa nulla di quelli come te, né di quelli come me». È così che la psicologa annuncia al protagonista Arthur Fleck che le autorità hanno tagliato i fondi per l’assistenza sociale: Arthur non potrà più beneficiare né della terapia né dei sette diversi farmaci che lo aiutano ad affrontare la depressione e la malattia mentale.

La città dell’universo di Joker-Batman è Gotham City. Nella sordida metropoli che sgocciola rabbia e indifferenza scoppia una violenta manifestazione causata dalle diseguaglianze sociali. Ad inasprire il tutto, le speculazioni mediatiche della televisione.

Arthur vive nei bassifondi, sa di aver bisogno di aiuto e lo chiede, ma come risposta ottiene un pugno in faccia da Thomas Wayne, il miliardario candidato sindaco di Gotham City; come minimo.

Preda della rabbia e dell’ingiustizia, il protagonista vede sgretolarsi le certezze di una vita che, assieme alla stanchezza e all’umiliazione, fanno maturare in lui la volontà di vendetta contro la città che gli ha voltato le spalle.

Joker è il demone partorito dalla stessa Gotham City, incapace di ascoltare i suoi abitanti.

Il film è reso ancor più urticante dagli attacchi di risate che opprimono Arthur nei momenti di tensione e le proteste cittadine che richiamano, nella mente di chi guarda, le manifestazioni di piazza in Cile iniziate il 18 ottobre 2019 per una maggiore democrazia e giustizia sociale e quelle di Hong Kong.

Il “Joker” diretto da Todd Phillips e interpretato da Joaquin Phoenix non è un “cinecomics” né un film di supereroi, ma parla di noi e dell’oggi. Penso che la pellicola si ritagli un posto tutto suo, inafferrabile, che la avvicina ai thriller psicologici e di denuncia sociale, e che percorra la strada già inaugurata nel 2015 da Gabriele Mainetti con “Lo chiamavano Jeeg Robot”.

Articolo di: Alice Palombarani

Scritto e pubblicato il: 03.11.2019

Immagine di copertina: www.panorama.it

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