‘La sposa Yemenita’ è un sorprendente e fresco reportage a fumetti della giornalista Laura Silvia Battaglia, disegnato da Paola Cannatella. Il volume, edito da Becco Giallo, raccoglie le esperienze della documentarista catanese nel paese adagiato sulla punta della penisola arabica, fra luci splendenti come matrimoni fastosi e ombre profonde come trafficanti di bambini.
“Te l’abbiamo regalato perché ti è piaciuto ‘Leggere Lolita a Teheran'”, mi ha rivelato un amico mentre scartavo il libro, ricevuto appunto fra i doni del mio compleanno. “Che forza!”, ho pensato subito, ammirando la donna con la telecamera e la rosa rossa in copertina e pregustando mattinate di lettura davanti a un cappuccino.

Tra l’altro, mi sono appena ricordata che anni fa assistetti a un incontro sullo Yemen al festival internazionale del giornalismo di Perugia, durante il quale una giornalista appassionata aveva condiviso l’intenzione di metter su un sito web che avrebbe permesso all’utente di scegliere da quale ingresso “entrare” nel paese – a seconda del punto selezionato sul confine – ed esplorare un viaggio multimediale. Ricordo che tanta era la passione della donna che al termine del panel andai a ringraziarla. Ho svolto una breve ricerca online ma non sono riuscita a risalire ai dettagli di quell’episodio. Ho però scoperto che la vincitrice – fra gli altri – anche dei premi Siani e Giornalisti del Mediterraneo è stata parecchie volte a Perugia; magari ho conosciuto proprio lei!
Torniamo al libro: sin dal risvolto di copertina, Battaglia ci accompagna alla scoperta delle persone, della cultura e delle strade di Sana’a, la capitale dello Yemen, attraverso una pratica suddivisione in capitoli titolati. Mi hanno colpita le pagine dedicate ad Al-Huda, l’unico supermercato dello stato, e le vignette che raffigurano una sfumatura della storia del rapimento di Luke Somers. Infatti, l’autrice utilizza i termini “mimetizzare” e “appartenenza” riferendosi al fatto che il fotoreporter scelse di conservare un look occidentale anche durante la permanenza nella capitale. Tale storia, terminata purtroppo con la fine dello statunitense, mi ha fornito un significativo spunto di riflessione sulla complessa stratificazione fra storia personale, professione, cultura locale, comunicazione non verbale, aspettative, affermazione della propria identità, testo e contesto. Battaglia, in altri punti del libro, si sofferma anche sulla scelta che ha personalmente operato sugli abiti da indossare per accedere/essere ammessa in particolari spazi ed essere ricevuta da determinate yemenite e determinati yemeniti.
Personalmente, l’unica nota che mi ha lasciata perplessa in tutto il volume riguarda il punto di vista un po’ giudicante che a mio parere la giornalista ha assunto in occasione del commento agli abiti osé di alcune ospiti alla cerimonia di una sposa. A cui fa da contraltare, non so se in modo intenzionale, una vignetta sul proprio abbigliamento durante il colloquio con un sottosegretario per le attività religiose yemenita.
In ogni caso, dal reportage traspare un punto di vista aperto verso una cultura molto diversa dalla nostra.
Riassumendo, consiglio di leggere ‘La sposa Yemenita’ (2017) che risveglia la curiosità di approfondire ulteriormente.
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